La mia Turchia profuma di dolci al miele

Non so perché ma alla Turchia mi sono avvicinata con timore. Non so se fosse per la paura di non riuscire nel lavoro (era nemmeno un mese che lo avevo cominciato) o perché era il mio primo viaggio in una nazione musulmana che immaginavo chiusa e tradizionalista, fatto sta che avevo un’inspiegabile fifa. Diciamolo: non ho scelto io la Turchia, è stato il mio lavoro a scegliere lei per me. Però la paura si è affievolita sorvolando lentamente il Bosforo. Tutte quelle navi container! Un’autostrada del mare sotto di me ed io con il naso schiacciato contro il finestrino ad osservare a bocca aperta. Curiosità batte paura 1 a 0! Quel mio primo viaggio mi ha portata ad Izmir, con un breve scalo ad Istanbul. Ho dovuto aspettare ancora qualche mese prima di scoprire la metropoli a cavallo tra Europa e Asia. Di Izmir ricordo il tramonto sul Kordon, il lungomare, con i suoi bar e ristoranti all’aperto affollati di gente intenta a bere ed a fumare narghilè nonostante fosse gennaio ed un localino in cui ragazze turche in minigonna ballavano sulle note di musica latino americana.

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Il Kordon di Izmir

E così il mio castello di preconcetti si è disintegrato in poche ore! Sebbene in questi anni non abbia potuto vivere la Turchia in tutta la sua bellezza come farei in qualsiasi altro viaggio, credo che sia la nazione che conosco meglio forse perché più che i luoghi ho imparato a conoscere la sua gente.Capite che tempo per girare quando si viaggia per lavoro non ce n’è molto. E a dir la verità anche per fare fotografie (ma qui più che la mancanza di tempo è il voler mantenere una parvenza di professionalità con i colleghi), motivo per cui in questo post troverete anche foto prese dal web. Così ho imparato a conoscere Istanbul ed il sud-est della Turchia negli scampoli di tempo. Sì, Istanbul è solo una parte del viaggio, a volte è persino solo uno scalo di mezza giornata. Il mio mondo è il sud est, nel triangolo di Gaziantep, Kahramanmaraş e Adana. Più o meno a  100 km dai confini siriani.
Quello tra me ed Istanbul è stato amore a prima vista. Un amore sfiorato sorvolandola
dieci anni fa e poi scoppiato quando, costeggiando il lungomare in taxi per arrivare in hotel, mi è apparsa sullo sfondo la Torre di Galata immersa nei colori arancio e rosa di una magnifica alba. Sono rimasta a bocca aperta, incantata da quella visione fiabesca. E’ esattamente quella immagine che la mia mente conserva ancora oggi come un’istantanea.

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Foto presa da Pixabay

Se mi chiedessero quale città valga la pena visitare almeno una volta nella vita direi senza ombra di dubbio Istanbul, perciò se doveste avere anche solo mezza giornata di scalo nella metropoli turca lasciate senza esitazione l’aeroporto e scopritela. In un pomeriggio di inaspettata libertà ho visitato il palazzo Topkapı, la Moschea Blu e sono salita sulla mia amata Torre di Galata da cui ho potuto godere di una vista mozzafiato.

Il Palazzo Topkapı, trasformato in museo nel 1924 per volontà di Atatürk, domina dall’alto di una collina una delle zone più belle di Istanbul con una vista che spazia a nord sul Corno D’Oro, a sud sul Mar di Marmara e a nord est sul Bosforo. Già solo arrivare fin lassù per sedersi a sorseggiare un çay, il tè turco, o una bibita fresca in una giornata calda vi delizierà con la vista sugli yalı, le antiche e maestose residenze di legno sul Bosforo.
Percorrendo i cortili del Palazzo e l’harem non meravigliatevi di sentirvi catapultati nelle favole orientali de Le Mille e una Notte con le stanze colorate dalle meravigliose maioliche blu e dai mosaici, le collezioni di armi e orologi, ed un tesoro imperiale dal valore inestimabile (alcuni dei gioielli più costosi al mondo sono custoditi qui!).

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Foto presa da Pixabay
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Foto presa da Pixabay

La Moschea Blu non può sfuggire allo sguardo con i suoi 6 minareti che svettano verso il cielo. Una volta entrati, rigorosamente senza scarpe e con il capo coperto, rimarrete estasiati di fronte alle oltre ventimila maioliche azzurre di Iznik che ricoprono le pareti e la cupola. La luce penetrando dalle finestre e infrangendosi sulle ceramiche dona all’interno della moschea un aspetto davvero suggestivo.

Nel cuore del quartiere di Beyoğlu si erge con i suoi 66 metri di altezza l’anima genovese della metropoli turca: la Torre di Galata da cui con lo sguardo si può abbracciare l’intera città.
Pensata dapprima dai genovesi come torre di controllo per l’avvistamento dei nemici, poi attraverso i secoli tramutata in prigione, dopo in osservatorio astronomico ed infine in punto di osservazione per individuare gli incendi, ahimè una volta assai frequenti ad Istanbul, la Torre di Galata offre un incredibile panorama sul Corno d’Oro e sulle vie animate della città.

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La Torre di Galata

Tra i luoghi di Beyoğlu che amo di più c’è il Çiçek Pasajı, letteralmente il Passaggio dei Fiori, così chiamato perché fino agli anni ’50 vi erano numerose botteghe di fiorai. In questa storica galleria dall’elegante aria parigina vi sono Cafe e ristorantini, certamente non troverete il miglior cibo di Istanbul ma se volete godere una serata in un’atmosfera gioviale bevendo  rakı e ascoltando musica prendete posto in uno dei ristoranti.

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Çiçek Pasajıci

Ma il clima festoso è una peculiarità di questo quartiere di Istanbul. Come nella vivace via di Nevizade dove ad ogni passo i camerieri delle decine di meyhane, le tipiche taverne turche, cercheranno di convincervi a sedervi ai loro tavoli  per gustare le meze, gli antipasti, che loro stessi vi mostreranno portandovi un vassoio con decine di piattini già pronti.

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Beyoğlu, meyhane sulla Nevizade
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Beyoğlu, meyhane

Ma vi va di scoprire qualcosa di diverso ad Istanbul? Se sì, allora spostatevi nel quartiere di Yeşilköy, una volta chiamato Hagia Stefanos (Santo Stefano) sul Mar di Marmara. Questo quartiere una volta abitato da greci, armeni, italiani e francesi, ha mantenuto molte delle sue caratteristiche architettoniche e multiculturali. Inoltre la sua vicinanza all’aeroporto Atatürk ha fatto sì che non fosse possibile costruire grandi palazzoni o grattacieli e lo skyline non è stato stravolto conservando così le deliziose costruzioni in legno in stile Art Nouveau della fine del XIX secolo. Ve ne innamorerete e resterete stupiti da come si possa lavorare il legno tanto da farlo sembrare un ricamo. Lasciatevi cullare dal dolce rumore delle onde del mare cenando nei ristoranti di pesce della Marina di Yeşilköy.

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Credit to Muhsin Aydin
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Credit to Muhsin Aydin

Ma torniamo agli yalı, le antiche residenze in legno sulle rive del Bosforo risalenti al periodo ottomano, una volta appartenenti agli ufficiali ed alla ricca borghesia di Istanbul. Ne sono rimasti 620 ma purtroppo non tutti messi bene. Alcune di queste residenze sono tra le più costose al mondo ma molte sono in completo stato di abbandono e questo è un vero peccato. Alcuni itinerari in traghetto sul Bosforo seguono proprio gli yalı più significativi ed importanti.
Durante il periodo ottomano i colore degli yalı dipendeva dalla posizione sociale o dal mestiere del proprietario. Per esempio quelli di colore grigio erano di solito dei cristiani o degli ebrei, quelli beige, bianchi o gialli invece dei musulmani, mentre rossi erano gli yalı dei dipendenti pubblici.
Il più antico yalı rimasto è quello di Köprülü Yalı nel quartiere di Kanlıca sulla sponda asiatica del Bosforo di cui è rimasta purtroppo solo una sezione a causa di un incendio. Gli incendi sono stati spesso la causa della distruzione di queste magnifiche residenze come racconta in molti sui romanzi il premio Nobel turco per la letteratura Orhan Pamuk.

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Credit to Birasuegi/Flickr
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Credit to Henri Bergius/Flickr

Quando ho realizzato che quello tra me e la Turchia sarebbe stato un lungo sodalizio mi sono detta che dovevo capire quanto più possibile su questa nazione e sulla sua gente. Ho provato persino ad imparare il turco ma mi sono arresa. Mastico giusto un paio di frasi e di parole che mi fanno sentire una deficiente quando le uso. Ed è così che sono diventata un’accanita lettrice dei libri di Pamuk. Non a caso vi parlo del famoso scrittore turco. Avete mai letto il suo romanzo il Museo dell’Innocenza? Ad Istanbul nel quartiere di Çukurcuma, a pochi passi dalla chiassosa  Istiklal, tra negozi di antiquariato e gallerie d’arte ha trovato casa il Masumiyet Müzesi, il Museo dell’Innocenza, ideato dallo stesso Pamuk parallelamente al romanzo. In 83 teche, tanti quanti sono i capitoli del libro, sono raccolti tutti gli oggetti che Kemal, il protagonista del romanzo, colleziona e che mantengono vivo nella sua mente il ricordo del suo amore Füsun. Tutti oggetti che gli permettono di fissare il ricordo di un momento.

Era l’istante più felice della mia vita, e non me ne rendevo conto. Se l’avessi capito, se allora l’avessi capito, avrei forse potuto preservare quell’attimo e le cose sarebbero andate diversamente? Sì, se avessi intuito che quello era l’istante più felice della mia vita non mi sarei lasciato sfuggire una felicità così grande per nulla al mondo.

Se avete il romanzo noterete che a pagina 563 c’è un facsimile del biglietto di ingresso. Quel biglietto sarà per voi la chiave per entrare nel mondo dei protagonisti. Sì, perché se portate il libro con voi e mostrate la pagina all’ingresso entrerete gratuitamente nel Museo dell’Innocenza.

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Venditore di Simit, il tipico pane con semi di sesamo, sulla Istiklal
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Cosa sarebbe la Turchia senza i suoi famosi bazar?

Così vicine, così lontane.
Un volo di quasi due ore mi porta a Kahramanmaraş, nel sud-est della Turchia. Mi accolgono le montagne ed alberi in fiore: qui la primavera è arrivata già da tempo. Il contrasto con Istanbul appare subito evidente.
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L’atmosfera vibrante ed i colori lasciano il posto al monocolore di una città industriale dall’antico passato ma fuori dai circuiti turistici. Qui raramente ho incontrato turisti. La maggior parte degli stranieri che giungono fino qui lo fanno per lavoro come me. Eppure si tratta di una città antichissima dal passato glorioso, colonia dei Romani che la chiamarono Germanicia Caesarea. Nel 2007 durante degli scavi illegali sono venuti alla luce diversi mosaici del IV-VI d.C appartenenti a ville romane abitate dalle élite locali. Parte di questi mosaici (gli scavi sono ancora in corso) ora sono in mostra nel Museo Archeologico della città facendo di Kahramanmaraş una tappa lungo l’itinerario storico  di Sanliurfa, Gaziantep ed Hatay.

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Foto Instagram di  Seeyou Turkey

L’eroica Maraş (proprio così, perché Kahraman vuol dire eroico. Nome che assunse nel 1973 dopo il coraggio dimostrato dalla popolazione durante la sollevazione contro l’occupazione francese) si trova in una piana circondata da colline e montagne ricca di fiumi e bacini. E’ una una città complessa dove modernità e abitudini rurali ancora convivono. Accanto a mercedes sfavillanti a volte ci si imbatte in asini carichi di merce, ingegnosi e colorati sidecar, carretti del çay o greggi di capre. Qui trovate la vera Turchia, quella che non rinuncia alla sua storia, alla religione ed alle sue tradizioni nonostante il turbo capitalismo negli ultimi anni abbia portato ad una forte espansione.

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Sidecar alternativi
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Trovate il famoso kangal in questa foto

Enormi bandiere turche sventolano lente e sinuose alle rotonde. La mezzaluna sullo sfondo rosso è ovunque: alle finestre, nelle vetrine, sulle macchine. Rispetto ad Istanbul molti più foulard di seta coprono il capo delle donne e non troverete cafè o ristoranti che servano bevande alcoliche. Nelle aiuole ai lati delle strade, sui prati curatissimi, la gente siede spesso in gruppetti e aspetta. Cosa aspetti non l’ho mai capito, ma aspetta per ore e ore. Sembra quasi che per alcuni tutto scorra lentamente o che il tempo non sia un aspetto poi così importante.

Ad ogni angolo grandi cartelloni ed insegne mi ricordano che qui siamo nella patria del Dondurma. E sì, il famoso gelato turco fatto con latte di capra e salep che si mangia con coltello e forchetta nasce proprio qui. Servito ricoperto da una granella di pistacchio, fa capolino in ogni ristorante e caffetteria accanto a baklava ed altri dolci turchi appena sfornati che inebriano l’olfatto con il loro profumo di miele e pasta kadayıf.

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Foto Instagram di _kahramanmarask46_ 

La cultura dell’ospitalità in Turchia ruota intorno ad un bicchierino di tè bollente. Non vi è luogo dove non si venga accolti con il çay. Gesto di benvenuto e di accoglienza per eccellenza, il çay unisce persino nella diversità linguistica. E’ così che a Maraş, più che in ogni altro luogo in Turchia, ho scoperto il calore e l’ospitalità del popolo turco attraverso un tè dal sapore deciso servito in un bicchierino di vetro a forma di tulipano accompagnato da 2 piccole zollette di zucchero. Niente latte o limone,non siamo inglesi.

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Il çay è ospitalità

Çay forse è stata la prima parola turca che ho imparato, seguita da yavaş yavaş (molto lentamente) perché il çay si sorseggia lentamente e si continua a bere anche quando è diventato freddo. Non esagero dicendo che il çay  scorre a fiumi nella vita dei turchi e che a Kahramanmaraş raggiungo anche 10-15 bicchierini in una giornata. Ovunque si vada è un rito sentirsi domandare se si desidera un bir bardak çay (un bicchiere di tè) e pur avendone già bevuto un notevole numero è cortesia accettarlo come se fosse il primo della giornata.

Il richiamo alla preghiera  dei muezzin scandisce le giornate in Turchia, chi ci è stato lo sa bene. Ricordo ancora la prima notte in hotel a Kahramanmaraş. Indovinate dove era l’albergo? Attaccato ad una moschea, cosa di cui non mi ero assolutamente accorta al mio arrivo. Alle 5.30 del mattino, distrutta dopo ben tre voli per arrivare a destinazione, mi svegliai di soprassalto domandandomi chi cavolo avesse avuto la malsana idea di fare tutto quel casino così presto. Incredibilmente però mi ci sono abituata immediatamente, la seconda notte ho ronfato tranquillamente.
Non a caso parlo di moschee. Poco lontano dalla cittadella medievale che oggi ospita il municipio, si trova la Ulu Cami, la Grande Moschea, risalente al 1496  con il soffitto in legno ed un minareto separato dalla struttura, cosa non molto comune per una moschea. Ma quella che più di ogni altra non può passare inosservata, soprattutto se a Maraş si giunge di sera, è  Abdulhamit Han Camii, la terza moschea più grande della Turchia, che illuminata da fasci di luce gialla e blu sovrasta buona parte della città. Marmi, maioliche azzurre come nella tradizione delle più belle moschee turche, grandi vetrate attraverso cui filtra la luce ed enormi lampadari circolari che scendono dal soffitto accolgono 20.000 fedeli.

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Abdulhamit Han Camii
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Abdulhamit Han Camii
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Abdulhamit Han Camii
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Abdulhamit Han Camii

L’arte del commercio che rende la Turchia unica con i suoi bazar è prepotentemente viva anche a Kahramanmaraş dove tra l’altro si trova uno degli ultimi 5 bazar coperti del Paese. Colorate ed invitanti spezie profumano l’aria e rallegrano la vista accompagnate dalle collane di verdure essiccate che una volta fatte rinvenire in acqua vengono servite ripiene.  Le macellerie sono un tripudio di agnelli appesi, ahimè fin troppo in bella vista per me e per il mio olfatto estremamente sensibile. Ma l’anima del bazar di Maraş è rappresentata dagli artigiani che lavorano  il ferro ed il rame e che potete vedere all’opera passeggiando per il mercato. Un’arte antichissima i cui manufatti oggi sono apprezzati in tutta la Turchia anche se trovano più spazio ormai nei negozi di souvenir che nelle case dei turchi. Nella città vecchia, tra edifici grigi, a volte mezzi diroccati, si trova Turaç Ocakbaşı, un ristorante che passerebbe inosservato ad un passaggio veloce. Non per altro, a parte un bancone con spiedini di carne più che ristorante sembra un rigattiere. Radio, fucili, sandali in cuoio, foto in bianco e nero, pentolame e stoviglie varie. Non c’è un angolo del Turaç che non sembri uscito da un negozio di antiquariato. Tutto in questo luogo nell’aspetto è lontano dai ristoranti chic della Maraş moderna. Qui i manufatti in rame forgiati dagli artigiani del bazar non sono souvenir su scaffali ma la mise en place: piatti, bicchieri, caraffe ed il tavolo stesso sono in rame. Non esiste il menu. Ci si ferma al bancone e si scelgono le carni da gustare. Amo andare da Turaç non perché mi aspetto piatti da gourmet ma per l’atmosfera di autenticità che si respira tra queste mura. Con il tempo anche bere uno schiumoso ayran con il mestolo è diventata una piacevole consuetudine. Andando via il titolare congeda i clienti versando sulle mani un’acqua profumata al limone sorridendo sotto gli enormi baffi.

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L’ingresso del Turaç Ocakbaşı
Turaç Ocakbaşı
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Turaç Ocakbaşı
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Ayran artigianale
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Turaç Ocakbaşı
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Turaç Ocakbaşı

L’ennesimo viaggio è al termine. Sulla strada per l’aeroporto mi lascio alle spalle gli alti minareti delle moschee. Ripenso al timore con cui sono arrivata in Turchia la prima volta. Non la conoscevo e non ne avevo ancora percepito il fascino. Mi separo dalla Turchia con nostalgia, almeno fino al prossimo viaggio.
Hoşça kal Türkiye!

 

16 commenti Aggiungi il tuo

  1. C’è qualcosa fra te e questo Paese, si percepisce chiaramente e ti invito ad approfondire. A parte fare il regalo alla tua metà, regalati un kit anche tu Simo! Se non sbaglio ne parlammo in qualche tuo post precedente del fatto che ti prendono spesso per una mediorientale no? 😉 Detto questo io credo che al potere ammaliante di Istanbul non ci sia scampo, ti strega e ti rapisce con colori e profumi. Tu sei fortunata a “dover” ritornare spesso in questa terra per lavoro, un lavoro che a quanto vedo ti lascia spazio per gironzolare. Che forte il libro come passepartout per il museo! E quelle residenze sono fantastiche *_*
    Come per Tel Aviv anche per Istanbul c’è un diretto da Napoli. Tocca solo superare lo scoglio della paura iniziale (che tradotto significa convincere Orso) 😛 Chissà, forse ci ritroveremo da qualche parte a bere un cay? Lentamente però che scotta 😉
    Bellissimo pezzo!

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    1. simonedda ha detto:

      Grazie mille cara!Mi affeziono sempre ai luoghi che segnano tappe fondamentali della mia vita.Forse poi è anche il ritrovare radici comuni (le mie zone sono state luoghi di scorribande saracene nei secoli passati e ci scommetto che il mio dna,come dici tu,potrebbe riservarmi sorprese) che spesso fa sentire noi meridionali a casa in certi luoghi.Io spero che tu riesca a convincere Orso perchè Istanbul strega davvero. E molto più di Tel Aviv.Ah sai quante volte sono partita da Napoli per Istanbul? 🙂

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  2. giuliacalli ha detto:

    Per me sono bastati 5 giorni a Istanbul per averla eletta fra le città più belle in cui sia mai stata! Non ho più avuto modo di tornarci (era il 2009), e mi piacerebbe da morire tornare a viaggiare in Turchia con il mio compagno.
    Grazie per questo bel posto, ci sono un sacco di spunti per esplorare la Turchia da latitudini meno battute!

    Quando hai esordito con:
    ”Ed è così che sono diventata un’accanita lettrice dei libri di Pamuk”
    ho letteralmente detto a voce alta “Yes!” 😀 anche io sono una gran fan di Pamuk, ho letto molti dei suoi romanzi e il mese scorso l’ho visto di persona qui a Barcellona, mi ha firmato il nuovo libro “La donna dai capelli rossi”. Amore!

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    1. simonedda ha detto:

      Ecco,lo dico sempre che Istanbul strega e affascina.Davvero una città ponte tra culture e storie.Molto cambiata nel corso degli anni devo dire per le vicende che hanno coinvolto la Turchia ma pur sempre una città che ammalia.Ci sono tante strade e luoghi che non ho raccontato ma che sono istantanee nella mia mente come lo è la vista su Galata.Sarebbe bello prendersi alcune settimane per esplorare zone poco battute, non tanto per i monumenti ma perchè si respira tanta autenticità.
      Una volta letto il primo romanzo di Pamuk poi vuoi scoprire il resto del suo mondo. Ed è bello scoprire la Turchia tra storia ed evoluzione. Vorrei anche io incontrare Pamuk!!!

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  3. Tips4tripS ha detto:

    Che meraviglia Istanbul. Da quando l’ho visitata nel 2010 non ho più trovato una città che riuscisse ad affascinarmi così tanto. Una città per la quale provo sempre molta nostalgia! Adesso sto leggendo “La bastarda di Instanbul” di Elif Shafak ed è un ottimo modo per immergermi nella città, cosí come leggere il tuo articolo. Mi sono immaginata seduta ad un bar, bevendo cay, ed ammirando il tramonto sul bosforo…beata te Simo che, anche solo per lavoro, hai occasione di tornare spesso…

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    1. simonedda ha detto:

      E’ vero..non esistono tante città che possano affascinare così tanto e una volta vista ti rimane nel cuore. Non ho letto il libro di Shafak ma a questo punto devo farlo..
      Mi piace la tua istantanea di Istanbul. Mi piacerebbe viverla così. Vado sempre in compagnia di colleghi e ho voglia di appropriarmene un po’ da sola!

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  4. Tips4tripS ha detto:

    Sí, credo decisamente che ti meriteresti un bel tête-à-tête!😊

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  5. lasimoinviaggiogmailcom ha detto:

    Bel racconto Simo! Si vede che conosci proprio bene la Turchia. Io sono stata ad Instanbul e l’ho adorata, così diversa da tutte le città che avevo visto in precedenza mi ha affascinato. Ricordo ancora l’esperIenza all’hammam bellissimo! Tu hai anche la fortuna di conoscere la turchia più vera.

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    1. simonedda ha detto:

      Grazie Simo! Vero che è incantevole? Com’è stata l’esperienza all’hammam?

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  6. untrolleyperdue ha detto:

    Che bello dev’essere il Museo dell’innocenza! Non conosco Pamuk, ma mi hai messo la curiosità di leggere il suo romanzo! E di volare a Istanbul! Devo vincere questa paura di volare verso est, la Turchia mi ispira troppo! È sicuramente merito tuo, Simo. Foto e racconto da applausi! 😉 – Ale –

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    1. simonedda ha detto:

      L’ idea del Museo creato insieme al libro credo sia geniale e osservare nelle teche gli oggetti conservati dal protagonista,persino gli oltre 4.000 mozziconi di sigaretta fumati dal suo amore,permette al visitatore/lettore di immergersi nel mondo dei protagonisti. Sono curiosa però di sapere perché non voli verso est ☺️☺️
      Grazie mille per le tue parole. Tu e Kiki dovete assolutamente regalarvi l’incantesimo delle mille e una notte ad Istanbul

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  7. untrolleyperdue ha detto:

    Eh, non voliamo verso est, verso il Medio Oriente, soprattutto per timore di attentati, anche se ci rendiamo conto che non siamo al sicuro nemmeno qui in Europa. Ci piacerebbe davvero scoprire Istanbul, passeggiare tra le sue vie profumate e perderci nei tramonti sul Bosforo. Prima o poi la nostra direzione sarà quella, intanto grazie per farci sognare un po’! 😉

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    1. simonedda ha detto:

      Vi capisco. Il 2016 è stato un anno terribile per la Turchia, anche se ora la situazione è molto più stabile. Nell’ultimo viaggio in Turchia, a ridosso dell’attacco Usa, GB e Francia in Siria,mi sentivo un po’ strana anche io visto che ero in una zona parecchio vicina al confine siriano., ma era tutto tranquillo.I miei amici turchi mi hanno preso un po’ in giro. Loro vivono tranquillamente e senza paure

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  8. Sono contenta di aver letto di una Istanbul diversa da quella che mi ha raccontato mia sorella. Lei c’è stata di recente ma ha trovato astio ed è stata sfortunata a mangiare nei posti sbagliati. Dato che da qualche tempo racconto anche i suoi viaggi, quando pubblicherò il post avrai modo di leggerlo. Per non far torto alla Turchia vorrei citare il tuo post e trovare un compromesso.
    Baci.

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    1. simonedda ha detto:

      Certo che puoi citare il mio post! 😀 anzi grazie mille! Devo dire che in città grandi come Istanbul si fa fatica a mangiare nei luoghi giusti se non si hanno le dritte giuste. Io ho la fortuna di averli conosciuti con la gente del posto! Sulla gente i pareri sono contrastanti. Anche io ho sentito pareri negativi. Non so se sia perchè è una metropoli o perchè si sta chiudendo come nazione. Devo dire che ho la fortuna di andarci da molti anni e ho imparato a capire la gente e la mentalità.

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